Intervista – La Domenica di Vicenza

Sono fiabe che aiutano a vivere

Settimanale di Attualità: La Domenica di Vicenza
Sabato 8 marzo 2003
Spazio Cultura: Le Bambole di Rosanna Granconato nascono a Lonigo.

LE NOSTRE DEBOLEZZE

“Sono fiabe che aiutano a vivere”
Fantasie e riflessioni di Rosanna Granconato, straordinaria creatrice di bambole.
(intervista di Resy Amaglio)

E’ opinione comune che le fiabe, come i giocattoli facciano parte esclusivamente della realt… dell’infanzia e siano in qualche modo immutabili; i radicali cambiamenti di costume degli ultimi decenni hanno però rivoluzionato anche il mondo dei piccoli, sicch‚ avviene sempre più spesso che le bambine sostituiscano nei giochi le anonime tenere bambole tradizionali con i simulacri plastificati di fotomodelle e teledive, prese d’altronde ad esempio estetico e comportamentale dalle loro madri; i coetanei maschi preferiscono il sogno di una strage di nemici occulti a quello di cavalcare alla ricerca di castelli incantati.

Le vecchie fiabe del tempo antico resistono quando sono suscettibili di trasformarsi in cartone disneyano e fino al momento in cui l’immaginario infantile sar… totalmente invaso da improbabili mostri, da ogni sorta di alieni, meccanizzati o virtuali. E’ terminato il tempo in cui Cappuccetto Rosso, il Lupo e Biancaneve attraevano l’interesse di psicologi e sociologi, con conseguente dissezione analitica di ogni loro risvolto e significato; anche Cenerentola ha esaurito il suo compito, trasformata da fanciulla incompresa al ruolo di Pretty Woman, fiaba per adulti naturalmente, ambigua e prevedibile.

Rosanna Granconato, fantasiosa signora di Lonigo, è invece convinta che sia possibile creare attorno ai personaggi delle fiabe un universo tutto particolare, giocando d’astuzia e immaginazione, o per dare forma concreta a qualche sogno; il suo fervore fantastico e le mani straordinariamente talentose hanno fatto di questa opinione un’arte, realizzando dal nulla, con esemplare pazienza e perizia, dei piccoli prodigi in forma di stranissime bambole, pupazzi-metafora della nostra quotidianit…. Sono dunque rinate le fiabe, non più racconti fantastici, ma personaggi, minuscoli esseri mediati dai vecchi racconti o dalle chiacchiere dell’attualit…, vestiti di sgargianti lamelle metalliche e strane cianfrusaglie lucenti, di tutto ciò che sia utilizzabile in un gioco d’abilit… e d’invenzione; simili ad ananas, carciofi, e pannocchie, eccoli pronti a interpretare in piena regola la loro parte sull’immutabile palcoscenico delle nostre manie e debolezze. Debolezze su cui la Granconato non intende certo formulare giudizi, cosa che detesta con la fermezza di chi ne ha provato sulla propria pelle le scottature. “Voglio sorriderne” dice “Se riusciamo a ridurre tante piccole presunzioni a misura di bambola, forse diventiamo tutti più simpatici”.

Così, da anni, assembla frammenti d’ogni tipo di materiale; lavorando d’ago e filo. Pinze e bulini per trasformare ciò che, d’istinto, le suggerisce “qualcosa”; alla fine questa signora, un po’ personaggio lei stessa, fa sortire dal ciarpame incredibili figurine lussuosamente agghindate a seconda dei loro stessi nomi, sui quali l’inventiva della loro creatrice ama benevolmente equivocare: ecco allora la Principessa con la Testa di Cavolo, La Signora Pignola costruita con le squame di pigna, o il Principe Ranocchio, così conciato dal bacio della bruttona di turno.

-Che cosa l’ha spinta a scegliere un lavoro tanto particolare?
“Io credo che si dovrebbe sorridere un po’ di più, cominciando dalle nostre manie”

-Desidera che le sue bambole facciano la morale a chi le compra, come le antiche fiabe ai lettori?
“Assolutamente no; vorrei che fossero una compagnia, forse ironica, ma gentile”

-L’ironia è davvero apprezzata, in un settore creativo come quello che lei stessa definisce “fiabe per adulti” così fumoso?
“Direi di si. Oggi si gioca molto, si desidera soprattutto quello che riesce a distrarci da tante preoccupazioni: i miei giocattoli danno dei modesti suggerimenti, ispirati un po’ alla psicologia, ma senza avere la presunzione di dettar legge. Li ho pensati prima di tutto per me stessa, per non correre il rischio di prendermi troppo sul serio e riempire tanti spazi vuoti della mia vita”.

-E c’è riuscita?
“Intanto ho riempito tutti gli spazi di casa mia”, ride.
Fatto innegabile: non esiste angolo dell’appartamento che non sia stato trasformato in un’appendice del laboratorio; sullo scrittoio, ritagli di stoffe dipinte o ricamate, conchiglie, vetri colorati e frammenti di metallo sbalzato attendono il loro momento, l’ispirazione che li trasformer…, orchestrandoli in una nuova e imprevedibile storia. Sono oggetti vivaci e quasi animati, pezzetti di vita sorvegliati dagli sguardi assorti e vagamente inquietanti di alcune antiche bambole, una collezione che ha ripagato la donna di oggi dei desideri insoddisfatti dell’infanzia.

“Confesso che attribuisco un valore sentimentale alle mie invenzioni e che riconosco nelle mie bambole qualcosa di particolarmente positivo, che riesce a dare leggerezza alla mia vita; ricevo molto da questo lavoro. Le presenze un po’ strampalate che occupano il mio tempo e il mio spazio sono presenze affettive: mi sembra di riuscire a trasmettere nelle forme una parte dei miei pensieri e che loro stesse, poi, li comunichino agli altri”.

-Qual è il suo pensiero preferito?
“Impariamo ad accettarci, con un po’ di pazienza reciproca, altrimenti ogni cosa diventa troppo complicata”.

-Questo suo lavoro è comunque tutt’altro che facile: quando ha deciso di dedicarsi completamente alla realizzazione delle sue fantasie?
“Quando mi sono resa conto che cominciavano a diventare importanti, che sollevavano un’attenzione concreta e che mi offrivano un compenso ad altre fatiche. Forse sembrerò sciocca, ma quando costruisco i miei personaggi mi sento felice: non sono soltanto bambole, sono le mie creature. Regalo loro una specie di anima: credo che chi le guarda attentamente lo capisca e per questo le apprezzi. Non pretendo di fare della filosofia spicciola con i miei pupazzi colorati; soltanto delle cose allegre, come certi sogni, che aiutano ad avere un buon risveglio”.

-Ci sono dei difetti, delle debolezze altrui che la diverte trasformare nell’interprete di una fiaba, magari con qualche cattiveria?
“No; quand’ero ragazza, ho spesso sofferto, nei miei rapporti con gli altri; è facile ferirmi. Ma il tempo è passato; ora preferisco divertirmi a canzonare anche me stessa, senza cattiverie, che non servono a nessuno. Certo, ci sono atteggiamenti difficili da sopportare: la supponenza, il pettegolezzo, certe persone “gonfiate” dal successo, che pesano meno delle mie conchiglie e non se ne rendono conto”.

- In che modo inizia un’ispirazione come le sue?
“Nei modi più impensati: qualche giorno fa mi sono imbattuta in un mucchio di gusci di lumaca. Li ho raccolti e ripuliti; voglio costruire un bel copricapo, poi inventerò la Signora-lumacona, impastata di pigrizia, da mettere sotto questo cappello”.

- Nasce prima la bambola o il suo travestimento?
“Non c’è una regola. Però, è il costume che fa il personaggio. Spesso sono colpita dall’aspetto esteriore delle cose e delle persone, dai colori squillanti, dal timbro delle voci; e alla fine scopro che quello che sta dentro corrisponde perfettamente alla superficie”.

-Queste creazioni sono completamente opera sua?
“Si, forse è anche questo che me le rende tanto care”.

-Qual è la bambola alla quale si sente più affezionata?
“Sarebbe scontato rispondere che amo soprattutto il pupazzo che non ho ancora inventato; in realt… tutti i giochi sono affascinanti. Come ho detto, i miei personaggi rappresentano un momento scherzoso: soltanto un sorriso”.

Resy Amaglio